Memoria viva

“Memoria viva” edizioni San Paolo (230 pag., 25.00 euro) di cui l’autore l’arcivescovo Rino Fisichella si chiede in questo libro quale sia il ruolo della tradizione fondamentale nella teologia e nel magistero.

L’opera ha come obiettivo l’individuazione di linee guida per capire e affrontare la tradizione momento essenziale nella vita quotidiana della chiesa. Sin dalle prime righe l’attenzione si rivolge alla “debolezza del pensiero” che si riflette in una fragilità del “pensiero teologico” evidente nella scarsa ricerca nell’intelligenza della fede e del ministero cristiano.

Già Papa Giovanni Paolo II aveva percepito questo disagio come l’impoverimento della fede e della ragione, deboli l’una di fronte all’altra.

Parole, si riporta nel testo che non dovevano essere dimenticate in ambito teologico come se si cercasse di dimenticare gli insegnamenti di un Papa a favore di quelli del suo successore.

La chiesa ha una responsabilità sul mondo del pensiero e la teologia, in particolare, non dovrebbe dimenticarlo; è corretto volere dare una risposta alle necessità materiali di coloro che bussano ogni giorno alle porte delle chiese, senza però dimenticare che esiste una “Caritas quaerens intellectum” (Amore in cerca di comprensione). 

Il concetto contenuto in “agere sequitur esse” (agire perseguire) è travisato generando una perdita d’identità personale o all’opposto si cerca di soddisfare un narcisismo non celato anche nell’ambito delle opere caritatevoli.

Per capire il presente, dove i processi culturali hanno spezzato il sapere può non essere saggio rifugiarsi nel passato. Utili possono essere gli insegnamenti di Sant’Agostino dove si afferma che il presente è utile per capire il passato e prevedere il futuro; Sant’Agostino afferma che non esistono tre tempi passato, presente, futuro ma che è corretto parlare di “presente del passato”; “presente del presente”; “presente del futuro”.

Queste tre interpretazioni del tempo sono contenute nell’anima dove il presente del passato è la memoria, il presente del presente è l’intuito, il presente del futuro è l’attesa.

Tutti siamo soggetti a scoperte progressive sia in ambito accademico che spirituale e da ciò non è escluso anche l’ambito pastorale sempre che non lo si voglia trasformare in una passiva ripetizione di gesti incapaci di incidere sulla vita delle persone.

Il passato non deve essere copiato occorre capirne il pensiero e la “linfa” che lo ha nutrito.

Quindi da ciò deriva l’importanza della tradizione come riferimento teologico e del magistero anche se il concetto stesso di tradizione appare contradditorio in particolare nell’ambito cristiano dove a volte indica cose tra loro diverse e dal tempo stesso collegate.

Come già ricordato il libro vuole essere una guida, non un trattato sulla tradizione; un aiuto per come interpretare la “tradizione della chiesa”. 

Di fatto siamo noi ad appartenere alla tradizione e non possiamo piegarla alle nostre esigenze.

Credere nella tradizione ci dà la possibilità di poter avere oggi un “pensiero originale” inteso come progettualità verso il futuro.

E ciò è vero in particolare per la teologia in quanto capace di recuperare non solo la tradizione teologica del passato ma anche la tradizione perenne che consente di superare i confini dello spazio e del tempo.

In che cosa consiste la tradizione, come può essere interpretata ed a quali condizioni può essere modificata.

Sono argomenti propri del quotidiano della Chiesa; una frase ricorrente “la chiesa deve mettersi al passo con i tempi”, pur essendo di per severa, evidenzia una scarsa dimestichezza nei confronti della fede ed indica quanto miope sia il ritenere che “questi tempi” siano i migliori.

La fede non può basarsi su uno slogan o su un indagine sociologica ed il teologo non può ridurre queste grandi questioni ad un mero dibattito televisivo o ad un apparizione su You Tube.

E’ necessario avere tempo, pazienza, confronto e preghiera; altri prima di noi si sono confrontati con questi temi ciò vale anche per noi in quanto oggi si tende ad eludere ogni riflessione che proviene dal passato perchè incapace di rispondere a questioni del presente.

Non è utile gettare al vento secolo di tradizioni solo perchè frutto di epoche passate. Se le si integra nel presente ciò sarebbe l’origine di una “intelligenza profonda” e saremmo tutti più accorti ed avveduti nel definirle velocemente come “tradizioni passate”.

Nessuna voglia di “restaurazione” ma sarebbe assurdo ritenere che il passato non ha nulla da insegnare al presente.

Il libro ha quindi lo scopo di rivalutare il ruolo della tradizione nella cultura, nella chiesa, nella società.

Ciò che l’arcivescovo Rino Fisichella vuole è fare capire quanto il presente ha inevitabilmente radici nel passato se vuole sopravvivere. In conclusione: il tempo fugge, ma la storia rimane.

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